DIAMANTE VARIOPINTO (Emblema picta)
Esperienze di allevamento
Questo piccolo
uccello, come tutti quelli della fauna australiana, presenta una meravigliosa
colorazione, ma anche l’allevamento è molto stimolante. Nei paesi centroeuropei
è più diffuso che in Italia, dove sono pochi gli appassionati che lo allevano, in
Australia al contrario è abbastanza comune fra gli ornicoltori, così negli USA,
dove peraltro negli ultimi anni si nota un certo decremento, forse dovuto
al costo più elevato rispetto ad altre specie.
Nel nostro
paese il prezzo di una coppia si aggira sui €.200 certamente non fra quelli più
economici, ma neanche proibitivo, tenuto conto delle soddisfazioni che può
dare.
In questo
articolo ho preferito mettere a raffronto la mia esperienza, limitata a due
anni di riproduzione, con le notizie raccolte da altri allevatori italiani, nonché
con quelle trovate su Internet, dove ho selezionato due articoli, uno di un
autore australiano ed un altro degli Stati Uniti.
Come premessa fornirò
alcune notizie di carattere generale, collocazione
tassonomica, habitat, livrea,
dimorfismo sessuale, alimentazione
e comportamento in natura.
I tassonomisti
sono divisi in due scuole di pensiero. Una che ipotizza un antenato comune che, nel corso della deriva dei continenti,
abbia dato origine ad un ceppo australiano, con il tempo adattatosi al nuovo
ambiente, quindi considerano gli Emblema appartenenti alla sub-famiglia
delle Estrildinae e li accostano per
morfologia ed abitudini comportamentali agli Amaranto ed Astri africani, dei
generi Mandigoa, Hypargos ed
Euschistospiza, fra i quali i più noti sono Amaranto dorso verde (a sx), Amaranto
fiammante ed Astro di Dybowski (a dx). L’altra invece afferma trattarsi di veri e
propri Diamanti australiani, che si sono differenziati a seguito di un processo di
adattamento all’ambiente in cui vivono.
Il genere comprende quattro specie: il
Diamante guttato (Emblema guttata) (a sx) è il più diffuso ed allevato degli altri, il Diamante
Codadifuoco (Emblema Bella) (a dx) ed il Diamante Orecchie Rosse (Emblema Oculata) (a sx), molto difficili da
reperire, non solo sul mercato europeo, ma anche negli Stati Uniti e nel paese di origine, dove presentano costi elevati; in Australia il prezzo di una coppie
è compreso fra i 1.000 ed i 1.500 $; infine il Diamante Variopinto (a dx) (Emblema
picta).




Gli Emblema
vivono in areali diversi, solo quelli del Guttato e del Codadifuoco in parte si
sovrappongono. Quest’ultimo ed il Diamante Orecchie Rosse hanno habitat
abbastanza simili (boschi, foreste, praterie), mentre quello del Variopinto si
distingue del tutto. Occupa le coste dell’Australia orientale, spingendosi fino
alle zone interne centrali, territori caratterizzati da deserti, colline
rocciose e dune, dove si alternano cespugli di acacia e di spinifex, una pianta
erbosa cosparsa di aculei tipica di queste regioni aride


Il Diamante Variopinto
mostra più degli altri emblema il processo di speciazione per adattarsi a
questo habitat inospitale: il becco abbastanza lungo ed appuntito gli serve, senza
ferirsi, per alimentarsi dei semi della spinifex, fra i cui cespugli vive e
nidifica, uscendo solo per muovendosi furtivamente in terra, tranne spiccare
qualche breve volo. Ho notato che in gabbia, oltre volare da un posatoio all’altro, si libbra fermo a mezz’aria, quasi come un colibrì; in questa
posizione a volte l’ho visto nutrirsi dei semi della spiga del panico, oppure introdurre
il becco nel beverino per bere. Posso supporre che questa particolarità gli
consenta di estrarre i semi della spinifex estraendoli con il sottile beccuccio
senza posarsi sulla pianta spinosa. Oltre ai semi contribuisce alla sua
alimentazione qualche preda viva, specialmente nel periodo della riproduzione.
Nonostante avvezzo a
vivere in zone a clima secco, nelle vicinanze del suo territorio le pozze
d’acqua non devono mancare per consentirgli, oltre che dissetarsi, abbondanti
abluzioni.
Il maschio del Diamante
Variopinto presenta il dorso marrone caldo, accostabile a quello delle toniche
francescane; la parte inferiore del corpo, a partire dalla gola fino alla zona
anale, è nera decorata sui fianchi da numerosi puntini bianchi, caratteristica
di molti altri diamanti. A questo si
aggiunge il rosso della maschera, che si estende
dalla cervice alla gola; poco giù lo caratterizza, fino quasi al ventre, una sottile striscia di
eguale colore, che ricorda il sangue che sgorga da una ferita. Quest’immagine mi induce a suggerire di cambiare la
denominazione italiana in Diamante insanguinato, più suggestiva ed aderente
alla realtà. Il nero dei fianchi è interrotto alla fine dal codione sempre
dello stesso rosso brillante. La parte superiore del becco è nera, quella inferiore rossa, le zampe sono carnicine. La descrizione della livrea ci porta
a parlare dell’evidente dimorfismo sessuale: nella femmina (a dx) il lipocromo, presente solo nel codione, è leggermente
meno brillante e meno esteso; in alcuni soggetti qualche piumetta
rossa si intravede nel petto; ma quello che li distingue a prima vista é la
puntinatura, che partendo da sotto il becco si estende più fitta di quella del
maschio. Le dimensioni sono di 10,5-11,5 centimetri,
identiche nei due sessi. I novelli presentano prima della muta colori simili a
quelli della femmina, ma con il rosso del codione più spento ed assenza nella
maschera e nel petto; i puntini bianchi sono meno nitidi di quelli degli
adulti.
Attualmente si
è manifestata fra i soggetti in cattività una sola mutazione libera e
recessiva, a seguito della quale il rosso, presente nelle zone di elezione,
vira in una bella tonalità intensa di arancio. Tenuto conto dell’incremento del
numero dei soggetti allevati, non è da escludere che presto ne possa apparire
un’altra inedita.
Le
caratteristiche del suo habitat farebbero pensare a un uccellino forastico e scarsamente
adattabile ad altri climi; in base alla mia esperienza, invece paradossalmente
si presenta in allevamento molto meno forastico di estrildidi, come il Diamante
pappagallo ed il Diamante di Kittlitz, mostrandosi robusto e non sofferente alle diverse situazioni climatiche.
In questo mi trovo in disaccordo con l’allevatore australiano Bruno Dixon, che scrive: "........é" ’ importante fornire alcune delle condizioni di quelle in cui vive in
natura, questo può fare la differenza tra successo riproduttivo e fallimento
totale. Forse è stata la difficoltà degli allevatori di comprendere queste
esigenze, che ha portato alla caduta nella sua popolarità, quando i risultati
non sono stati immediati”. Mentre conferma alla mia opinione è espressa
dall’allevatore americano Kerri McCoy, il quale
dopo averne acquistato uno stock di importazione scrive: “hanno richiesto un certo periodo di acclimatamento, ma alla fine si
sono adattati completamente al nuovo ambiente…..al contrario da quanto
affermato dagli avicoltori australiani……; forse l'origine e
la domesticazione degli stock gioca un ruolo importante nelle differenze
comportamentali.”
Ritengo che la
sua addomesticazione si è manifestata in modo rapido, tanto che oggi i soggetti
presenti nel nostro continente, allevano quasi sempre in “purezza”.
Molti sono quelli a sostenere che questo tipo
di riproduzione è il migliore per
ottenere risultati positivi sia in termini di quantità di novelli svezzati, che
di qualità. Concordo con questa opinione e cercherò di spiegarlo in base alla
mia esperienza.
Nel 2008 ho
acquistato la mia prima coppia di Picta, anellati stesso anno. In autunno li ho
collocati nella batteria, dove ho messo a disposizione due moduli da 60 cm. ciascuno. Mi era stato
consigliato da allevatori italiani di porre il nido in basso; ho messo a
disposizione due comuni nidi a cassetta per esotici, uno nello sportello
inferiore (quasi a livello del fondo), l’altro più in alto, che hanno invece preferito.
Il primo
tentativo è andato male, secondo la mia opinione, per la fortissima umidità che
ha caratterizzato l’autunno di quell’anno, che ha influito negativamente anche
sulla riproduzione dei Diamanti di Gould, la specie alla quale mi dedico
prevalentemente. Ho tenuto separata la coppia fino a febbraio, quando ho potuto
osservare il maschio che, cantando intensamente, dava segni di estro.
Il canto è all’unanimità
descritto come il rumore stridente e sgradevole di un tergicristallo quando
manca l’acqua, per finire con un trillo; comunque a me sembra che non manchi di
fascino, esprimendo con la sua forza la gioia di vivere che questo esserino
vuole manifestare.
Dopo pochi
giorni la coppia ha iniziato la costruzione del nido, utilizzando fra i diverso
materiali che ho messo a disposizione, la fibra di cocco con la quale hanno
ultimato una bella coppa, che si alzava dalla parte posteriore verso l’alto. In
fine per renderlo soffice hanno
collocato al fondo juta e sfilacci di cotone; ma non hanno lesinato di
strapparsi qualche piumetta per completare l’opera. Il maschio trasportava il
materiale nel nido, collaborando con la femmina alla sua sistemazione.
Gli allevatori
australiani forniscono in abbondanza carbone vegetale ai riproduttori, affermando
che lo collocano nel fondo del nido, forse istintivamente per sfruttarne la
qualità assorbente di umidità. I miei soggetti lo hanno sistematicamente
ignorato e lo stesso afferma l’americano Kerri
McCoy: “I materiali scelti per la nidificazione sono stati fibra di cocco,
piume ed erba; anche se il carbone è stato
fornito non lo hanno utilizzato nella costruzione del nido.”
Tenuto conto del clima secco e
caldo del loro habitat naturale, nonostante i ceppi che alleviamo siano ben
acclimatati, ritengo comunque che il prolungato eccesso di forte umidità possa
nuocere loro; consiglio pertanto di coprire il fondo della gabbia con piccoli
trucioli di faggio (in vendita per i piccoli roditori), che ha proprietà
assorbenti. Se si cosparge anche con sabbia, sali minerali e calcio in polvere,
si potrà osservare i Diamanti variopinto soffermarsi a beccuzzare avidamente. (*)
Altro suggerimento è quello di
togliere la griglia di fondo, in quanto sono uccelli che vi sostano molto tempo
ed a lungo andare le zampe e le unghia potrebbero deformarsi. Ho attribuito a
questo il motivo che alcuni miei soggetti hanno presentato le dita o le unghia
non ben allineate. Un’altra causa potrebbe essere nella ridotta dimensione dell’anello
prescritto lo “Z” di mm.2, che spesso costringe l’allevatore a forzarne l’introduzione.
La C.T.N. – I.E.I
da quest’anno ha previsto l’anellino “K” di mm.0,2 più grande.
Nel mio allevamento l’alimentazione
è costituita dalla stessa miscela che utilizzo per i Gould, misto per esotici
con il 60% di scagliola e frequentemente spighe di panico; un prodotto
polivitaminico per 5 giorni ogni 2 mesi
durante il riposo; durante la fase riproduttiva e la muta riduco l’intervallo
ad 1 mese.
Inoltre durante la riproduzione
fornisco giornalmente spiga di panico, semi germinati, miscelati a pastone
secco all’uovo, arricchito con spirulina, calcio e probiotici.
Interessantissimo si è rivelato
il rituale di corteggiamento: il maschio cantava sempre più forte, quindi prendeva
un filo d’erba con il becco agitando la testina, a volte anche librandosi a
mezz’aria, e quando la femmina mostrava di accettare, accucciandosi e facendo
fremere la codina, avveniva la copula.
Ultimata la costruzione del
nido, la femmina ha iniziato a sostarvi sempre più a lungo e dopo circa due
settima dalla formazione della coppia ha deposto il primo uovo, che ho tolto
per sostituirlo con uno finto; lo stesso ho fatto con quelle successive.
Dopo il quarto ed ultimo uovo li ho collocati
sotto una coppia di Passeri del Giappone, allo scopo di osservare prudentemente
come si comportassero i Picta con quelle finte. Con mia grande soddisfazione la
femmina covava assiduamente, sostituita immediatamente dal maschio durante le
brevi sortite per soddisfare i bisogni fisiologici; durante la notte era solo
lei a provvedere alla cova, mentre il compagno sostava sul posatoio nei pressi
del nido.
Alla speratura delle uova poste sotto i Passeri tre
risultavano feconde. Incoraggiato dal loro comportamento, un paio di giorni
prima della presunta schiusa, ho ritrasferito le uova dalle balie, comunque lasciando
prudentemente loro quelle finte. La prima schiusa è avvenuta al 15° giorno, facendomi
disperare nel successo, essendo in ritardo in base alle mie previsioni; ma subito
è subentrata una grande soddisfazione quando ho constatato che il gozzo del
pullus presentava segni di essere stato imbeccato; lo stesso si è verificato
con il secondo nato, mentre il terzo uovo non si è schiuso. I genitori
mostravano un forte attaccamento alla prole, tanto che a volte ero costretto
per effettuare i controlli ad allontanarli leggermente con il dito. La crescita
procedeva bene ed al 7° giorno ho anellato il primo nato, tenendo sotto
controllo la situazione per timore che il piccolo fosse defenestrato per la
presenza dell’anello Circostanza che si è verificata poco dopo; ho ricollocato
subito il malcapitato nel nido, continuando a tenere d’occhio; ma
fortunatamente tutto è andato per il verso giusto; è stato questo l’unico caso
del genere che non si è ripetuto neanche con altre coppie.
Al 20° giorno i piccoli si sono catapultati
entrambi dal nido, iniziando a reclamare, rincorrendo i genitori per chiedere l’imbeccata:
in questa fase dimostrano un comportamento caratteristico e diverso dalle altre
specie, che normalmente affidiamo ai Passeri del Giappone, per cui non sono
molte le coppie di balie che si prestano a svolgere diligentemente il loro
compito.
Come ho potuto constatare anche
con le successive nidiate il gruppo dei pulli insegue i genitori, naturali o
adottivi, strillando ed agitando le ali, fino a costringerli, ultimato l’imbecco,
a cercare rifugio nell’alto della gabbia; ho notato a volte un piccolo restare
attaccato al becco mentre l’adulto si involava, in quanto non ancora
soddisfatto, oppure beccarlo per attirare la sua attenzione, mentre nutriva i
fratelli. Gli Emblema picta accettano
con pazienza l’irruenza dei figli in quanto per loro è naturale, ma comprendo quei
Passeri del Giappone che si allontanano impauriti.
Poiché i pulli una volta
involati non rientrano nel nido neanche la notte, ho lasciato sul fondo le
spighe di panico vuote, per fornire loro un morbido appoggio ed evitare che la
tenera cartilagine dello sterno potesse deformarsi.
Nella seconda stagione dopo che i Variopinto hanno
svezzato in purezza sei pulli, alla terza deposizione ho passato tre delle
cinque uova alle “balie” per sperimentare anche questa tecnica. Alcuni
allevatori mi avevano avvertito che a volte non vengono nutriti fin dalla
nascita, per le dimensioni molto piccole del becco, ma la coppia delle mie “balie”
si é comportata benissimo fino allo svezzamento; solo all’involo ho notato il maschio
restare interdetto alle prime richieste di cibo, dopo ha svolto regolarmente il
suo compito, portandolo a termine da solo, in quanto la femmina non ha accettato
quella particolare richiesta di imbecco.
Richiamo l’attenzione di coloro che desiderano cimentarsi
nell’allevamento di questo bellissimo uccello che la fase più delicata, sia in “purezza”
che con “balie”, si presenta nella fase di svezzamento. Accade spesso che qualche
nidiaceo, anche se al momento di lasciare il nido è sviluppato quanto ai fratelli,
rimane indietro nello sviluppo; attribuisco la causa sempre allo strano
comportamento post-involo, cioè una minore
intraprendenza rispetto agli altri, che influisce sulla quantità di
nutrimento che riceve. La mia
conclusione è che i Diamanti variopinti depongono molte uova, dalle 4 alle 5 effettuando
anche tre deposizioni; sono degli ottimi gallatori, aggirandosi generalmente la
fecondità vicino al 90%, ma alla fine i pulli svezzati non superano il 50%
delle nascite.
Per la preparazione alle mostre
ho usato il piccolo accorgimento di utilizzare un contenitore alto, collocando
i posatoi molto in basso, in modo da distanziarli quanto più possibile dal
tetto. Questo per evitare che il nostro piccolo esotico australiano si
rovinasse il piumaggio della testolina a causa del suo comportamento di librarsi
in alto.
Il Diamante variopinto non è
una specie standardizzata, quindi l’allevatore dovrà indirizzare la selezione
basandosi su criteri di carattere generali ed in base al proprio gusto estetico.
Un buona taglia, un piumaggio composto e lucido sono i primi fattori che lo
valorizzano. I soggetti con maschera quanto più estesa e regolare saranno da
preferire; lo stessa dicasi per le ”perle” dei fianchi che dovranno essere di colore
bianco pulito. Il lipocromo rosso del petto è bene che scenda senza interruzioni,
mentre, a mio parere, le irregolarità dei bordi non dovrebbero costituire
penalità, in quanto servono ad accentuare la peculiarità di accostarlo ad una
ferita sanguinante.
Per concludere ritengo il
Diamante variopinto una specie molto robusta, che si è adattata molto bene alla
vita captiva, senza necessità di particolari esigenze alimentari, di locali e
dimensioni di gabbia per riprodursi; soltanto i piccoli richiedono maggiore
attenzione in fase di svezzamento. Ma un appassionato allevatore conosce che,
per ottenere successo con gli esotici, qualche piccolo accorgimento è
necessario, compensato peraltro dalla soddisfazione del successo ottenuto nella
loro riproduzione. Inoltre quest’altro piccolo gioiello della fauna australiana
presenta interessantissimi aspetti comportamentali che è un piacere soffermarsi
ad osservarlo.
Ripeto che la mia esperienza è
limitata a due stagioni riproduttive, quindi è gradito qualsiasi scambio di notizie,
contattandomi al mio indirizzo di posta elettronica: allevatore@diamantedigould-corsini.libero.it
Dicembre
2010 Eduardo
Corsini
(*) PS - Mentre pubblico questa pagina sul Sito, si stanno registrando le giornate più caldo dell'estate. Nel mio locale la temperatura ha superato anche i 31°. Nessuna delle altre specie allevate ne ha sofferto; al contrario i Variopinto, sostavano con il becco aperto. Una mattina ho trovato un novello sul fondo gabbia boccheggiante, dopo poco é morto. Mi sono meravigliato in quanto nel loro ambiente naturale la temperatura raggiunge livelli altissimi; ma mi sono ricordato anche di avere letto che le pozze d'acqua non devono mancare per bere e bagnarsi. Così ho trovato il rimedio. tenendo a disposione l'intera giornata il bagnetto.