QUALE SELEZIONE NEL GOULD
Prima
parte: forma domestica o forma selvatica?
Sul processo di addomesticamento
si sono scritti nel tempo talmente tanti pensieri e concetti da poter
assemblare veri e propri manuali sull’argomento. Quello che caratterizza tutte
le possibili definizioni, di addomesticamento, è indicabile come l’inevitabile
processo etologico e biofisiologico a cui le specie allevate si assoggettano
che produce la differenziazione che i ceppi domestici sviluppano
rispetto al selvatico, fenomeno questo indicato dalla comunità scientifica come
“processo di ingentilimento”.
Prescindendo dalla comparsa di
mutazioni geniche determinanti macroscopiche alterazioni del fenotipo
ancestrale, la vita captiva conduce e determina adattamenti fisiologici e
comportamentali che di generazione in generazione si fissano nella popolazione
d’allevamento. A questo inesorabilmente si somma la preferenza estetica del
gusto dell’allevatore, che accoppiando tra loro esemplari con date
caratteristiche somatiche ne esaltano l’espressione. In riferimento alla specie
in questione è facile evidenziare quali sono state è sono attualmente le
tendenze della selezione domestica del Gould, e quali sono invece le spinte
selettive che l’ambiente naturale dove questa specie si è evoluta produce.
Come per tutti gli uccelli atti al volo, il Gould selvatico
sviluppa nella sua silouette una capacita aerodinamica minimizzante lo sforzo
al volo in termini di energia, esaltando efficacia, velocità di decollo e di
fuga dai predatori. Queste performance sono date dalla somma di elementi come
lunghezza del piumaggio, forza dei muscoli pettorali, conformazione del cranio,
ed equilibrio tra massa grassa e massa magra. Tutti questi parametri non
vengono sottoposti allo stesso tipo di selezione in condizione di cattività.
Per altro le forme particolarmente affusolate realizzano un’immagine
complessiva del soggetto sicuramente meno armoniosa e piacevole di quella
ricercata nella selezione domestica, in cui si ricerca una morbidezza delle
forme data esattamente da una selezione contraria.
Solo un piumaggio sufficientemente abbondante, un cranio più
tondeggiante e una buona distribuzione della massa grassa, realizzano la
tendenza allo stereotipo indicato dallo standard di eccellenza a cui gli
allevatori intenti alla moderna selezione del Gould devono tendere. Solo queste
scelte selettive che evidentemente esulano dalla preservazione di una forma
selvatica, consentono di ottenere una modificazione dei soggetti domestici,
ormai considerati e considerabili specie domestica, in quanto da decenni
sottoposta a spinte selettive frutto dell’allevamento captivo.
A mio parere per tanto in
termini generali nella selezione moderna del Diamante di Gould va ricercata
l’aderenza a quella che può essere considerata la forma domestica della specie,
frutto del fenomeno di “ingentilimento” di cui sopra ho parlato.
Fenomeno questo che si concretizza semplicemente nella voluta modificazione di
caratteri somatici come taglia, forma e struttura ossea e del piumaggio.
Con tali presupposti e chiaro che l’unica possibilità di preservare
la forma ancestrale della specie è concepibile solo attraverso la protezione
delle popolazioni selvatiche nei territori d’origine e non nelle gabbie dei
nostri allevamenti. Inoltre se, per ipotesi, si volesse tentare la
reintroduzione in Natura di soggetti domestici, questi sarebbero
inevitabilmente destinati ad una brutta fine.
Seconda parte: forma estensione e colore della maschera
Nella selezione del Diamante di Gould, un elemento di primaria
importanza è certamente rappresentato dalla maschera che orna e caratterizza il
cromatismo della specie. In prima battuta va subito puntualizzato che il Gould
è indiscutibilmente interessato da un dimorfismo sessuale di tipo secondario,
ovvero non legato a differenze dei disegni tra maschi e femmine, ma prodotto da
una diversa espressione dello stesso fenotipo. In particolare il dimorfismo del
Gould si realizza nell’espressione del colore, che immancabilmente nelle
femmine è notoriamente meno intenso e meno brillante. Questa condizione
ancestrale e chiaramente fisiologica, si ripercuote ovviamente anche
nell’espressione della maschera facciale. Quindi in ambito selettivo e
soprattutto in ambito espositivo, tale condizione andrà adeguatamente valutata
e considerata per quello che rappresenta.
Proprio per questo le attuali categorie a concorso suddividono a giusta ragione
i maschi dalle femmine. Se da un lato i livelli di eccellenza nei maschi sono
superiori rispetto alle femmine, dall’altra gli elementi di riferimento a
livello di principio rimangono gli stessi. L’ampiezza della maschera cosi come
la definizione dei contorni e la rotondità del margine, determinato dal filetto
nero nelle maschere lipocromiche, sono elementi inequivocabili per entrambi i
sessi.
Certo nelle femmine la maschera facciale tende sempre ad essere un po’più
piccola, ma questo e spesso dato dalla forma e dalle dimensioni del cranio,
cosi come dal piumaggio tendenzialmente più corto. Nel maschio lo sviluppo
craniale è maggiore e tendenzialmente il piumaggio è più abbondante e lungo,
così da realizzare forme più massicce e tondeggianti. Questo produce impatto
più gradevole ed appariscente, tanto per l’uomo quanto per le femmine della
propria specie, vera ragione etologica del dimorfismo sessuale, ovvero,
conquistare la propria compagna convincendola della propria bellezza indice di
salute e vigore, garanzia per la propria progenie.
La maschera del Gould è
notoriamente interessata da tre tipiche colorazioni: la maschera rossa,
dominante sulle altre due forme, prodotta dall’interazione tra pigmento
melanico nero e lipocromo rosso, apice di un processo evolutivo. Questo
tipo di maschera per
i motivi di appariscenza fenotipica prima esposti è quella
più presente nelle popolazioni selvatiche (nella foto a dx notare la struttura a lamine espanse delle barbule della maschera di un maschio testa rossa). Per opera di un gene recessivo
rispetto alla colorazione rossa, forse una
presumibile mutazione spontanea apparsa verso la fine del percorso evolutivo
della specie, abbiamo la possibilità di ammirare la maschera a lipocromo
giallo, o meglio arancio. Essendo l’arancione il risultato della riduzione
quantitativa di lipocromo, risulta un colore meno appariscente del rosso e per
questo meno apprezzato dalla spontaneità della selezione naturale, basata sulla
scelta del partner, tanto da parte delle femmine quanto da parte dei maschi. In
natura si stima che solo il 2% della popolazione possieda questo carattere in
stato di omozigosi e che sopravviva grazie all’ereditarietà recessivo autosomico
dello stesso, che permette di mantenerne la presenza silente (come portatore
inespresso) in molti esemplari a maschera rossa, notoriamente preferiti dalla
su indicata spinta selettiva nella scelta del partner migliore, pur se
inconsapevoli diffusori della variante (questo è uno dei meccanismi di
preservazione della biodiversità
escogitati da madre natura). Esiste in fine
una terza colorazione della maschera, legata ad un fattore ipermelanizzante,
che alla scomparsa del lipocromo dalla testa, produce una saturazione di
melanina nera della piuma solo di quella zona. Tale fenotipo è sostenuto da
un gene recessivo sesso legato rispetto alla pigmentazione lipocromica della
maschera (nella foto a sx piuma della maschera di un testa nera).
In cattività questi equilibri spontanei tra le diverse espressioni della
maschera sono ovviamente sovvertiti dai gusti personali e dall’arbitraria
selezione domestica. E’ comunque scontata un’espressione ottimale e corretta di
ogni colorazione, con la consapevolezza comprovata che l’accoppiamento
in melanico nero che corre da un estremo all’altro della bavetta
giugulare, largo circa un millimetro, anch’esso regolare e continuo, che
produca un esaltazione della maschera aumentandone anche apparentemente
l’estensione, cosa che si realizza molto efficacemente nei soggetti a testa
nera che presentano notoriamente una maschera più ampia in quanto non c’è
soluzione tra maschera e filetto. La precisione dei margini così come
l’estensione della maschera sono caratteri multifattoriali legati in parte alle
qualità del piumaggio, in parte alla pigmentazione e in parte alle potenzialità
genetiche del soggetto. L’unico modo per migliorarli è quello di accoppiare
esemplari adeguati per questi caratteri complessi nella loro costituzione.
Un elemento che spesso viene
trascurato o non considerato nella ricerca selettiva della maschera è lo
sviluppo strutturale del capo, ovvero lo sviluppo di quelle parti anatomiche
come il cranio nella sua componente ossea (teca cranica e becco), ma anche
nelle sue parti molli come bulbo oculare, muscoli e cute. Un cranio
ben sviluppato, di buone dimensioni, tondeggiante e con occhi grandi e ben
posizionati, su cui poggia un becco breve e compatto centrato
anteriormente, permette ad un buon piumaggio un disegno corretto e ad un
buon colore di realizzare una maschera facciale ottimale. La purezza del
colore, rispetto alla varietà della maschera, permette la migliore espressione
fenotipica quanto meno della carica lipocromica e relativa tonalità.
E’ cruciale di fatti che nella selezione dei lipocromi della maschera si vada a
considerare oltre alla quantità anche la tonalità degli stessi, funzione solo
in parte della base melanica con cui si vanno a combinare. Quindi il primo
riferimento selettivo nella ricerca di una buona maschera facciale è quello di accoppiare
esemplari con lo stesso colore della maschera.
Superato l’aspetto espressivo del colore, che deve essere intenso, deciso e
puro, nella selezione della maschera vanno considerati altri concetti più
propriamente topologici che riguardano l’estensione, la forma e precisione dei
contorni. Nell’attuale selezione viene richiesta una maschera facciale ampia,
capace di coprire partendo dall’attaccatura superiore e laterale del becco la
fronte, l’area oftalmica e auricolare, le guance e il cranio fino e oltre il
suo vertice, senza soluzione di continuità tra le parti e con una pigmentazione
uniforme. Sia l’attaccatura che il limite posteriore della stessa dovrebbero
presentare limiti segnabili da linee precise, continue dall’andamento
tondeggianti. Il margine poi della maschera lipocromica dovrebbe essere
accostato ad un sottile filetto
Nell’ultimo periodo, approfondimenti bibliografici hanno condotto
ad interrogarsi sulla correttezza espressiva della maschera facciale come sopra
descritto, evidenziando che in alcune stampe dell’Ornitologo J. Gould la specie
venga ritratta con maschera facciale ben diversa dall’attuale selezione. In
particolare pare che su queste stampe la maschera facciale sia divisa in una
porzione centrale che interesserebbe fronte, porzione superiore degli occhi e
vertice del capo e due porzioni guanciali e auricolari; suddivisione questa
realizzata da un’infiltrazione del filetto melanico che invece di correre lungo
il margine della maschera, all’altezza dell’occhio si piega a mo di virgola
in avanti. Tale ipotesi per quanto affascinante e frutto di un’osservazione
oggettiva eseguita su tavole iconografiche dell’epoca, dove essere confermata
quanto meno dal confronto diretto con più esemplari selvatici della specie, di
sesso ed età differente. Personalmente per quanto ritenga corretta l’attuale
selezione descritta, credo interessante questo argomento e sollecito quanti in
possesso di informazioni e mezzi di ricerca appropriati ad adoperarsi
nell’approfondimento di questo interessante argomento.
1 marzo 2010 (aggiornato 07/02/2015)
Francesco Faggiano
Per coloro che non lo
conoscono, con piacere, traccio un breve profilo di Francesco Faggiano.
Allevatore per tradizione familiare, non ha limitato i suoi interessi alla
semplice cura degli uccelli, ma ha approfondito l’aspetto scientifico del
nostro “hobby”, diventando in pochi anni uno dei più profondi conoscitori della
genetica, correlata al nostro settore. Oltre che collaboratore delle riviste
Italia Ornitologica ed Alcedo, per le quali ha scritto numerosi articoli, ha
pubblicato nel 2002 per la Foi il volume “Mutatis mutandi: la genetica, le
storia e la selezione dei mutati”, più volte citato in numerosi testi di
ornitologia e diventato in breve punto di riferimento per chi vuole allevare
con cognizione scientifica. E’ stato membro della CTN-IEI, nella quale ha
contribuito alla stesura di numerosi standards; dal 2014 ne é Presidente.
Con la sua ferma e chiara presa
di posizione per la selezione indirizzata alla forma domestica, si inserisce
nella discussione su un tema di recente sollevato da alcuni autorevoli
ornitologi, fra i quali mi limito a citare l’Arch.Emilio De Flaviis e l’Ing.Piergianni
Amerio (vedi pannello sx). Quest’ultimo si è spinto a selezionare Diamanti di Gould, nei quali ha
fatto “riaffiorare” due delle più evidenti caratteristiche che lo distinguono
dal selvatico: il filetto non perfettamente arrotondato, ma che forma una
piccola rientranza all'altezza dell’occhio e le timonieri filiformi decisamente
più lunghe.
Questa particolarità possiamo vederla nelle litografie di John Gould ed altri
ornitologi dell’ottocento, nonché nelle moderne foto di soggetti in Natura.